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Si può essere tifosi adulti?

Sembriamo le formiche di Escher. Salgono, scendono, fanno il giro, e in realtà percorrono ciclicamente lo stesso tragitto. Noi tifosi sembriamo quelle formiche. Pavlov avrebbe potuto compiere i suoi esperimenti su di noi, invece che sui suoi cani. Abbiamo sempre le stesse reazioni ai medesimi impulsi. Del resto, probabilmente, se reagissimo diversamente non saremmo tifosi. Noi la realtà non la guardiamo. Non ci interessa. Almeno non interessa al tifoso che è in noi. Vogliamo vincere, e basta. Altrimenti per cosa dovremmo tifare? Per il bilancio del Calcio Napoli o della Filmauro? Domande legittime, per carità. Che inevitabilmente danno vita a discorsi, perdonateci, inutili e ripetitivi. Anche io vorrei vincere, eppure le regole del gioco le conosco. Di che cosa ci sorprendiamo? Che un calciatore preferisca il Barcellona al Napoli? O che il nostro presidente non metta mano al portafogli e reagisca acquistando in contanti Suarez dal Liverpool?

Sembriamo il Lucio Battisti di “Non è Francesca”. Ci ostiniamo a chiudere gli occhi, mentre potremmo vivere questa realtà diversamente. Come magari fanno i tifosi del Liverpool o dell’Arsenal, squadre molto più blasonate del Napoli che pure negli ultimi anni non hanno le bacheche piene di trofei. Sappiamo tutti che il calcio è cambiato. E conosciamo perfettamente il pensiero del nostro presidente: il Napoli è un’azienda e come tale deve avere bilanci in attivo. Non è un presidente tifoso e non vuole esserlo. Ce lo ha detto in ogni salsa. Sì, festeggia ai gol di Vargas perché può venderlo a un prezzo più alto. E magari per 70 milioni (secondo me anche 60) Higuain lo darebbe via. È normale. Lo fareste anche voi.

E invece no, ci ostiniamo a vivere una realtà parallela, a sognare un universo che non esiste. La domanda è: se esistono i cattolici adulti (copyright Romano Prodi, se non sbaglio), possono esistere anche i tifosi adulti? È possibile affrancarsi dal sistema binario vogliamovincere-papponismo? O no?

Credo di no. E non so nemmeno dire se sia un male. Dico che questa forma di dissociazione consente una visione parziale del fenomeno. E che, soprattutto, nuoce alla nostra salute. In fin dei conti, godiamo poco. È l’eterna ricerca di qualcosa che non riusciremo mai a raggiungere. E che ci impedisce di godere delle cose che abbiamo. Che non sono poche. Lo so, il pericolo di questa tesi è l’accusa di fiancheggiamento papponistico. Poco male. Dopo dieci anni, il mosaico di indecifrabile ha davvero poco. Sappiamo tutto. Che stavamo in serie C, così come non abbiamo i campi per far allenare la Primavera con la prima squadra; che abbiamo avuto Naldi e Corbelli e che l’attuale presidente ha dichiarato che la vittoria è effimera; che prima di Maradona avevamo vinto due Coppe Italia e che con De Laurentiis in realtà non siamo stati mai in lotta per lo scudetto. Abbiamo tutti gli elementi per giudicare.

Il mio pensiero è che abbiamo una squadra più che dignitosa che può ambire a rimanere nelle posizioni di vertice e che magari potrà avrà l’annata come quella del Borussia Dortmund o dell’Atletico Madrid. O magari non l’avrà mai. È un discorso da tifoso, non da consigliere di amministrazione. De Laurentiis c’entra poco. E in quanto tifoso, Higuain per 70 milioni lo darei via oggi stesso. Proprio perché anche io voglio vincere. E termini come tradimento, scarso attaccamento alla maglia, mi sanno di primitivismo. Peraltro, non sono che l’armamentario ideologico degli ultras.

C’è solo una partenza che oggi mi getterebbe nello sconforto, quella di Rafa Benitez. Ma solo perché considererei il suo addio la certificazione di un ridimensionamento societario. L’ammissione che lo scorso anno, magari sull’onda della rabbia, è stato fatto il passo più lungo della gamba. Anche in questo caso, però, potrei sbagliare. Certo, Benitez è l’uomo che più di ogni altro ha dato la misura del salto di qualità del Napoli. Parla un’altra lingua, si percepisce lontano un miglio. Ha un altro orizzonte. Non a caso a Napoli è stato subissato di critiche. Però mi auguro un giorno di non dover temere nemmeno la sua partenza. Ma non perché compreremo Messi e Cristiano Ronaldo. Magari perché punteremo su un giovane capocannoniere sconosciuto della Bundesliga.
Massimiliano Gallo

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