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Cari napolisti, la merda è il tifo. Non illudetevi, il tifo sano non esiste

Comunque, cari amici del Napolista (ché alcuni di voi lo siete davvero amici cari, e ora vedo circolare qui anche parenti stretti), fatemelo dire, come nota a margine: guardate che la merda è il tifo. Il tifo in sé, non la camorra la questura i giornalisti il potere il governo i napoletani la politica i poliziotti il prefetto la trattativa l’inno i petardi. O “quei signori”, come dite quando non sapete più a che santo votarvi per spiegare l’inspiegabile.

La merda è il tifo. Quel sentimento che ci tiene legati in tribù, blinda i confini dei territori e li fa opprimenti e marci, ci fa sognare radici che (per fortuna, santo effetto della civilizzazione) non abbiamo più. Il tifo è la malattia dell’anima che ci rende complici, collusi, omertosi, ciechi. Una malattia che viene spacciata per passione, ma è solo odio che si autoalimenta, esaltazione di identità presunte, e per il resto sfogo belluino, sofferenza inconsulta o cupo rimuginio.

È una merda che mette in questione il nostro duro e precario percorso evolutivo, di progressiva liberazione da idoli e paure ancestrali, e ci chiede, come droga, di sostituire alla placenta del grembo materno un simbolo, il colore di una maglietta, una fede. Un’ideologia. Perché, come è chiaro, il tifo non è questione di pallone. E’ questione di vita.

E purtroppo, miei cari, il tifo che nutre Gennaro De Tommaso e Daniele De Santis, è lo stesso ceppo virale che attacca tutti. È lo stesso (per dire) che modella i Mario Borghezio o i NoTav noTriv noTutto, come ha allevato guelfi e ghibellini, pisani e livornesi, democristiani e comunisti, e continua ad armare conflitti rovinosi, dispute demenziali, pure perdite di tempo (e badate che la differenza quantitativa non cambia la qualità del male) .

Non illudetevi, non c’è un tifo più sano. Proprio perché – come voi sapete perfettamente e sostenete – il tifo non ha confini o limiti concettuali. E’ irrazionalità, sentimento, cuore, pancia, metteteci parole e organi che volete.

Sarà per questo che io – che sono stato tifoso di tragedie ben più grandi e serie – in campo pallonaro non lo sono mai stato sul serio. Come per riservare a questo meravigliosa guerra in forma di sport il solo spazio della fantasia e del gioco. Per questo sono stato con l’Inter di Mazzola, con il Napoli di Maradona, oggi sto con la Roma di Totti, e domani non so. Un tifoso del cazzo, mi dite tutti. Certo, e dopo eventi come quello dell’altra sera, più che mai contento di esserlo a questa maniera, cultore dell’antitifo dell’incoerenza (che bella parola, la più nobile che abbiano mai inventato, quella che ci difende dalle guerre sante, azzera l’orgoglio, spegne sicumere, ci riconcilia con i meravigliosi legni storti che siamo), appassionato di chiacchiere da bar, dell’irrazionalità del paradosso, con il gusto permanente dello sfottò che espone alla cura continua dell’autoironia. Divertimento. Divertimento puro. Non quella roba avvilente e triste dell’altra sera.
Claudio Velardi

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